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“L’onda lunga della Peer Education”

 

di Elena Mietto

L’Istituto d’Istruzione Superiore “Cesare Balbo” mi ha dato la possibilità di essere e restare nel tempo un punto di riferimento all’interno del liceo come peer educator del progetto “Donne Violenza Zero” grazie alla programmazione di focus group e alla partecipazione attiva a eventi sociali riguardanti la violenza contro le donne. Questa opportunità è stata per me uno stimolo continuo al confronto critico con i pari, alla ricerca di informazioni aggiornate sul tema, all’uso corretto delle ultime tecnologie e dei mezzi di comunicazione, che mi ha permesso di mettermi ancora una volta in gioco e alla prova, confrontandomi con le nuove esigenze dei giovani e riflettendo sui cambiamenti avvenuti nella comunità sociale.

 

La Peer Education si presenta come una delle più significative strategie educative volta ad attivare un processo naturale di passaggio di conoscenze, di emozioni e di esperienze da parte di alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari status nell’ambito della prevenzione alla salute. Grazie a tale intervento con e per gli adolescenti si mette in moto un processo di comunicazione globale, caratterizzato da un’esperienza profonda e intensa e da un forte atteggiamento di rispetto delle idee altrui e di ricerca di sintonia tra i soggetti coinvolti, che serve per generare un cambiamento e per assumere e far assumere responsabilità.

Alla base di tale orientamento vi è appunto il riconoscimento del fatto che i più adeguati ed efficaci promotori del benessere individuale sono proprio le persone, adeguatamente formate, appartenenti al medesimo gruppo di riferimento. Dunque i pari educano i pari, migliorando l’efficacia del processo e degli esiti educativi perché in possesso dello stesso patrimonio linguistico, valoriale, rituale. Di conseguenza, l’interazione faccia a faccia tra pari, essendo meno inibente e più immediata, è avvertita come meno giudicante. Ecco allora che la Peer Education può rappresentare un efficace strumento di crescita per i giovani perché riconosce e promuove un ruolo attivo degli adolescenti, che diventano così protagonisti consapevoli della propria formazione.

 

Un’altra delle caratteristiche peculiari dell’educazione tra pari riguarda la capacità di mettere in atto un dialogo che viaggia su due traiettorie differenti ma fortemente legate, unite dagli stessi contenuti e obiettivi: quella dei giovani e quella degli adulti. La comunicazione e l’informazione avvengono in una dimensione orizzontale, quella dei peer e dei ragazzi a cui si rivolgono: giovani vicini per età, cultura, interessi ed esperienze, assaliti dagli stessi dubbi, da mille paure adolescenziali e desiderosi di trovare una risposta o anche un aiuto. Si muovono poi in una seconda dimensione, quella verticale, che si realizza grazie a persone esperte e preparate tecnicamente come medici, psicologi, educatori che trasmettono a loro informazioni scientifiche e, soprattutto, insegnano come gestire i gruppi e comunicare in maniera efficace. Proprio questa duplice dimensione è la chiave del successo della Peer Education, anello di congiunzione di due mondi spesso lontani: quello dei giovani e quello degli adulti, che non sempre sono in grado di interagire, dialogare e comunicare.

 

In questa strategia educativa, il lavoro di rete diventa cultura e risorsa progettuale dato che l’approccio all’universo “scuola” è connotato dalla filosofia del lavoro di comunità e, pertanto, le istituzioni scolastiche sono considerate in un’ottica pluridimensionale, aperte al territorio del quale fanno parte in un sistema di rapporti complesso ma ricco di feconde potenzialità.

Nella Peer Education, la comunità stessa si attiva e si configura come soggetto e attore principale del progetto. Il modello di lavoro proposto può essere utilizzato da qualsiasi scuola, attivando la costruzione progressiva di un sistema di rete tra tutti i soggetti che, a diverso titolo, possono essere significativamente coinvolti nel progetto in qualità di protagonisti attivi.

L’esigenza è costruire e promuovere relazioni di incontro/confronto tra soggetti differenti, superando l’ottica dell’antagonismo e della diffidenza tra istituzioni, professionalità e generazioni diverse. Questo rappresenta un gap ancora da superare all’interno di un sistema scolastico che tende ad aprirsi all’esterno solo in situazioni di emergenza e a rapportarsi con gli studenti in termini esclusivi di destinatari di sapere e non di portatori di risorse e potenziali competenze. Questa prospettiva dovrebbe essere cambiata perché solo nell’apertura e nel riconoscimento reciproco è possibile porre le basi per un efficace e reale lavoro di promozione della salute e del benessere a scuola.

 

All’inizio dell’anno scolastico, l’ISS “Balbo” ha partecipato alla visione dello spettacolo teatrale “Alice, cara grazia” con Valentina Picello, per la regia di Filippo Renda, proposto dall’Associazione per le vittime di violenza, “L’Albero di Valentina”, avente lo scopo di sensibilizzare gli studenti del quinto anno su questo tema. Da qui è nata un’idea originale: far condurre ad alcuni peer educators del progetto “Donne Violenza Zero” l’approfondimento e il dibattito successivi allo spettacolo. Ecco allora che sono stata chiamata con le mie compagne di viaggio, Anna Albertario e Vincenza Marullo, a prendere parte a questa interessante iniziativa, che è stata per me un’occasione di ulteriore crescita, una sfida costruttiva, grazie alla quale ho avuto modo di capire ancora di più quanto sia efficace la metodologia didattico – educativa della Peer Education e quanto ci sia bisogno di metterla in atto in tutte le scuole e indirizzi scolastici, proprio per la forza di azione e cambiamento che può avere sulle nuove generazioni sia nell’immediato che nel lungo tempo.

Tale proposta è nata quasi come un esperimento: tutto si basava su come avrebbero reagito gli studenti spettatori della rappresentazione, sulle loro risposte, sui loro dubbi e sulle loro emozioni. Era una “prima volta” per loro, per noi peer educators e per l’attrice protagonista che portava uno spettacolo così intenso, sentito e tematicamente delicato a un pubblico tanto giovane. Pertanto abbiamo deciso di partire da dei semplici bigliettini di carta per raccogliere tutti i commenti e le domande dei ragazzi e da lì iniziare il nostro incontro, dialogando liberamente con i pari e anche con il cast dello spettacolo.

Rispetto ai classici focus group, ci siamo trovate davanti a variabili metodologiche differenti a cui abbiamo fatto fronte grazie alle competenze acquisite e sviluppate nel tempo durante i nostri incontri di formazione nell’ambito del progetto di Peer Education. Innanzitutto il gruppo a cui ci rivolgevamo non era circoscritto a una trentina di soggetti, bensì era costituito da circa 200 studenti e quindi prestare attenzione ad ogni singolo commento risultava per noi complicato, dato anche il tempo a nostra disposizione, e per loro era comunque difficile poter esprimere il proprio parere poiché le condizioni acustiche della sala non erano predisposte a un dibattito. Inoltre il setting, la collocazione dei posti a sedere, era ovviamente adeguato alla visione di uno spettacolo ma non al dialogo faccia a faccia, pertanto risultava complesso attirare l’attenzione di tutti e coinvolgerli alla discussione tra loro su argomenti che di per sé già risultano ostici. Altro aspetto da considerare riguarda il nostro ruolo di peer educators in quella particolare situazione: noi avevamo il compito di condurre il dibattito, di rivolgere le domande dei ragazzi, suscitate dalla rappresentazione, al cast di “Alice, cara grazia”, ma anche di funzionare come punti di riferimento e di appoggio per gli studenti e, se richiesto, di fornire informazioni utili e puntuali sul tema della violenza di genere, delle prevaricazioni e delle subordinazioni tipiche di una cultura patriarcale.

Proprio grazie al confronto paritario diretto con loro ho potuto capire quanta ricchezza si possa cogliere dall’incontro tra pari scavando a fondo e dedicando tempo e risorse al dialogo su temi tanto delicati e attuali con questi giovani. C’è un muro, una barriera che prima di tutto bisogna riconoscere e così abbassare, insieme, per poter iniziare a comunicare efficacemente con gli adolescenti, con i loro pregiudizi, con le loro idee, con i loro modi di agire. L’obiettivo è creare una rete di incontro e di dialogo, che porti alla riflessione di tutti i partecipanti e che abbia alla base il rispetto e l’ascolto reciproco dei propri pari, sviluppando così competenze cognitive, emotive, sociali e potenziando le proprie life skills, abilità che rendono gli individui in grado di affrontare efficacemente le esigenze e i cambiamenti quotidiani, quindi utili non solo all’interno del mondo scolastico, ma anche per il futuro lavoro e per la vita di ogni singolo adolescente.

Attivare un progetto di Peer Education richiede tanta energia da parte di tutti i soggetti coinvolti, oltre che un consistente investimento di tempo e risorse umane e materiali, ma i risultati che si otterranno ricompenseranno e supereranno tutte le difficoltà incontrate nel percorso formativo e renderanno consapevoli tutti i membri del progetto di quanto sia stato grande e proficuo il loro lavoro per se stessi, per i singoli e per la comunità.

 

Elena Mietto, p.e.

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